• 12 DEC 12

    A cura del Dott. Lorenzo Dell'Uomo

    L’ipertensione arteriosa non è una malattia di per sé, ma aumenta il rischio di essere colpito da ictus cerebrale, infarto di cuore, insufficienza renale ed altre malattie. D’altro canto, il ricorso alle cure oggi disponibili permette di eliminare pressoché completamente questo rischio “aggiuntivo”.

    Quando è che si può parlare di ipertensione arteriosa?
    Il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari cresce con l’aumentare dei valori pressori. Un soggetto con valori di pressione sistolica di 120 mm Hg (considerati assolutamente normali) ha comunque un rischio cardiovascolare leggermente superiore a chi presenti una pressione sistolica di 110 mm Hg.
    Tuttavia, si ritiene che il rischio cardiovascolare aumenti al punto di giustificare un intervento terapeutico, anche farmacologico, in presenza di valori di pressione pari o superiori a 140 mm Hg per quanto riguarda la pressione sistolica (la “massima”) e/o pari o superiori a 90 mm Hg per quanto riguarda la pressione diastolica (la “minima”). Valori pressori compresi tra 140/90 e 160/100 sono definiti ipertensione arteriosa di grado 1, tra 160/100 e 180/110 si parla di ipertensione arteriosa di grado 2 e, oltre i valori di 180/110, si parla di ipertensione arteriosa di grado 3.

    Tabella 1: Classificazione dell’ipertensione suggerita dall’OMS/ISH, basata sui livelli della pressione arteriosa nei soggetti adulti di età uguale o superiore a 18 anni.

    Categoria

    Pressione arteriosa in mm Hg

    Sistolica

    Diastolica

    Ottimale

    < 120

    < 80

    Normale

    < 130

    < 85

    Normale – alta

    130 – 139

    85 – 89

    Ipertensione di Grado 1 borderline

    140 – 149

    90 – 94

    Ipertensione di Grado 1 lieve

    150 – 159

    95 – 99

    Ipertensione di Grado 2 moderata

    160 – 179

    100 – 109

    Ipertensione di Grado 3 grave

    ≥180

    ≥110

    Ipertensione sistolica isolata borderline

    140 – 149

    < 90

    Ipertensione sistolica isolata

    ≥150

    < 90

     

    Le cause di ipertensione
    Le forme di ipertensione arteriosa in cui è possibile dimostrare una causa precisa, cioè organica, legata a specifiche malattie di un organo, sono definite “secondarie”. In molti casi la causa di ipertensione è una malattia del rene, conseguente a precedenti nefriti, pielonefriti o infezioni delle vie urinarie particolarmente frequenti. Talora sono in gioco malattie dell’apparato endocrino, in particolare affezioni delle ghiandole surrenali che possono dar luogo alla sindrome di Cushing, all’iperaldosteronismo o al feocromocitoma. In altri casi ancora la causa dell’ipertensione è ascrivibile a restringimenti localizzati delle arterie (coartazione aortica, stenosi dell’arteria renale).
    Comunque, solo in un paziente iperteso su venti (circa il 5%) è possibile individuare una causa specifica dell’ipertensione: nella grande maggioranza dei casi, invece, gli accertamenti diagnostici utilizzati più comunemente non evidenziano alcuna malattia che possa essere considerata responsabile dell’ipertensione. In questi pazienti, il rialzo pressorio è verosimilmente provocato dal funzionamento difettoso dei meccanismi che hanno il compito di mantenere in equilibrio i valori pressori. In questi casi, l’ipertensione arteriosa viene definita “essenziale” o “primaria” o “idiopatica”, tutti termini che cercano di rendere meno evidente la incapacità di definire con esattezza i meccanismi che hanno causato l’aumento pressorio.

    L’ipertensione arteriosa è un problema che colpisce in Italia in media il 33% degli uomini e il 31% delle donne. Il 19% degli uomini e il 14% delle donne sono in una condizione di rischio.

    • Nord Est : Il 37% degli uomini e il 29% delle donne sono ipertesi; il 22% degli uomini e il 16% delle donne si trovano in una condizione di rischio
    • Nord Ovest : Il 33% degli uomini e il 29% delle donne sono ipertesi; il 20% degli uomini e il 15% delle donne sono in una condizione di rischio
    • Centro : Il 31% degli uomini e il 29% delle donne sono ipertesi; il 18% degli uomini e il 13% delle donne sono in una condizione di rischio
    • Sud e Isole : Il 33% degli uomini e il 34% delle donne sono ipertesi; il 17% degli uomini e il 13% delle donne sono in una condizione di rischio

    Umbria
    Ipertesi: 39% degli uomini – 32% delle donne
    Condizione di rischio: 15% degli uomini – 18% delle donne

    Monitoraggio dinamico della pressione arteriosa nelle 24 ore
    Il monitoraggio dinamico o ambulatorio della pressione per 24 ore rappresenta una metodica indispensabile per la corretta valutazione del paziente iperteso.
    La registrazione va programmata per effettuare misurazioni con intervalli di 15-20 min durante il giorno e 20-30 min durante il sonno.  Ai pazienti deve essere raccomandato di effettuare le normali attività quotidiane e di evitare esercizio fisico intenso. Durante la misurazione il braccio deve rimanere immobile e rilasciato lungo il fianco. Vanno inoltre riportati nel diario gli eventi di rilievo, gli orari dei pasti, l’ora e durata del sonno, la terapia in atto ed eventuali sintomi.
    L’uso estensivo del monitoraggio dinamico della pressione arteriosa per 24 ore nella diagnostica dell’ipertensione si basa sull’evidenza che la pressione misurata ripetutamente al di fuori dell’ambiente clinico ha un valore prognostico superiore a quello della pressione misurata estemporaneamente nello studio medico. La maggiore capacità predittiva nei confronti degli eventi cardiovascolari è stata mostrata dalla pressione notturna. Va precisato che i valori registrati al monitoraggio dinamico sono mediamente più bassi rispetto alle misurazioni in ambiente clinico, ed i valori che configurano un quadro ipertensivo sono eguali o superiori a 130/80 mmHg per la media delle 24 ore, 135/85 per la pressione diurna e 120/70 per la pressione durante il sonno. È utile effettuare il monitoraggio dinamico soprattutto quando le misurazioni in ambiente clinico hanno un’ampia variabilità, nei soggetti con elevata pressione nello studio medico ed assenza di danno d’organo, nei pazienti con elevato rischio cardiovascolare, quando vi è apparente resistenza alla terapia antiipertensiva, e quando vi è discrepanza tra misurazioni in ambiente clinico e quelle domiciliari.
    L’uso del monitoraggio dinamico della pressione arteriosa nelle 24 ore ha consentito di individuare una condizione caratterizzata da elevata pressione in ambiente clinico associata ad una normale pressione monitorata, condizione denominata “ipertensione da camice bianco “ o “ipertensione
    clinica isolata”. Nonostante alcuni studi abbiano mostrato come l’“ipertensione da camice bianco” sia a più basso rischio cardiovascolare rispetto all’ipertensione sostenuta, altri studi hanno documentato che essa è comunque caratterizzata da un aumento del rischio rispetto alla condizione di normotensione. Permane quindi il dubbio se questi soggetti possano essere lasciati senza trattamento antiipertensivo. Appare in ogni caso opportuno confermare la diagnosi con un secondo monitoraggio a distanza di 3-6 mesi e seguire questi soggetti nel tempo con un attento follow-up, che includa il monitoraggio della pressione arteriosa a domicilio. Altri studi, inclusi studi di popolazione, hanno inoltre consentito di individuare una categoria di soggetti caratterizzati da una
    normale pressione in ambiente clinico associata ad un’elevata pressione monitorata. Questa condizione, denominata ipertensione mascherata, è risultata essere ad elevato rischio cardiovascolare e può quindi beneficiare di un trattamento antiipertensivo. Va tuttavia sottolineato come il suo riconoscimento non sia agevole.
    Va sospettata soprattutto in giovani maschi con iperreattività all’ortostatismo (cioè in piedi), in soggetti con valori pressori nello studio medico nel range normale-alto, in soggetti con sfavorevole stile di vita, e in pazienti con alto rischio cardiovascolare, soprattutto se obesi, diabetici o nefropatici.
    Il monitoraggio dinamico della pressione arteriosa nelle 24 ore ha mostrato un’importante applicazione anche nella valutazione dell’efficacia della terapia antiipertensiva nel singolo paziente.
    Appare, infatti, un mezzo insostituibile per quantificare la durata d’azione dei farmaci antiipertensivi e l’omogeneità del controllo pressorio nelle 24 ore.

    L’ecocardiografia nella ipertensione arteriosa
    La identificazione della ipertrofia ventricolare sinistra (cioe’, l’ispessimento delle pareti del cuore, inteso come complicanza dell’ipertensione arteriosa) e delle alterazioni anatomo funzionali cardiache nella ipertensione riveste grande importanza diagnostica e prognostica e può influire sulla impostazione terapeutica.
    Le linee guida internazionali  suggeriscono l’esecuzione dell’elettrocardiogramma in tutti i pazienti con ipertensione arteriosa perché è un test semplice, facilmente ripetibile nel tempo, con basso costo, con una elevata specificità, ma una bassa sensibilità; l’ecocardiogramma è, invece, incluso tra le indagini raccomandate da eseguire in un paziente iperteso prima di iniziare un trattamento e durante la terapia.
    L’ecocardiogramma e’ una metodica innocua che, attraverso l’utilizzo degli ultrasuoni, permette di “vedere” il cuore mentre lavora e di verificare gli spessori delle pareti miocardiche e la massa del ventricolo sinistro, quindi la “geometria” del cuore.
    Consente, inoltre, di studiare il funzionamento delle valvole cardiache, le dimensioni delle camere cardiache e l’efficienza della pompa cardiaca.

    Terapia dell’ipertensione arteriosa
    Esistono, attualmente, molti farmaci in grado di curare l’ipertensione arteriosa ed il cardiologo ha la possibilità di “cucire” addosso al paziente la terapia farmacologica adatta alle sue esigenze, alla sua tipologia di vita ed al suo grado di ipertensione.
    E’ necessario, inoltre, adottare misure igieniche irrinunciabili per migliorare lo stile di vita, quali ad esempio la riduzione del peso corporeo quando questo e’ eccessivo, una corretta alimentazione ed una buona attività fisica.